Satana creerà una controchiesa
La scimmia di Dio - Danilo Quinto
Sergio Russo, che ha conseguito il Baccalaureato in Filosofia presso la Pontificia Università “Angelicum” in Roma e il Diploma in Scienze Teologiche all’I.S.R.R. di Volterra, dopo aver pubblicato un primo libro, intitolato “Il fumo di Satana”,
 ne ha di recente pubblicato un altro, dal titolo significativo: “Sei tu
 quello o dobbiamo aspettarne un altro? – L’ultimo ‘tassello’ mancante 
alla celebre profezia di Fatima”.
Leggendo questo libro – che si apre con una citazione del Venerabile 
mons. Fulton Sheen (1895-1979): “Satana creerà una contro-chiesa, che 
sarà la scimmia di Dio. Avrà tutte le note e le caratteristiche della 
Chiesa, ma in senso inverso e svuotata del suo contenuto divino… Sarà 
una specie di ‘corpo mistico’ dell’Anticristo, purtroppo simile al Corpo
 mistico di Cristo, ingannando molti” - mi è venuta alla memoria una 
delle più belle pagine del Vangelo: il capitolo 26 del Vangelo di 
Matteo, versetti 36-39. 
Quando Cristo si recò al Getsemani, prese con sé tre dei Suoi discepoli,
 Pietro e i due figli di Zebedeo e fa loro una richiesta: “La mia anima è
 triste fino alla morte”, dice, “ restate qui e vegliate con me”. Il 
Signore chiede compagnia nella preghiera, chiede di farlo sentire meno 
solo, di partecipare in qualche modo alla profonda tristezza della Sua 
anima e di farlo resistere alle tentazioni. 
Il demonio - che dopo le tentazioni del deserto, si era da Lui 
allontanato per ritornare al tempo fissato (Lc 4,13) – torna di nuovo 
all’attacco: è il momento della Passione e il principe di questo mondo 
fa affidamento sulla ripugnanza dell’Uomo-Cristo e della Sua carne per 
la sofferenza. Questa è la sua ora, è l’impero delle tenebre (Lc 22,53).
 Chi ha fede e tenta di vivere nella sequela di Nostro Signore, conosce 
bene questa situazione. Tenta di imitare la situazione in cui si trova 
Cristo, perché offrendo, soffre con gioia – come dice San Paolo – tutti i
 giorni della sua vita. Cristo si prostra con la faccia a terra e prega 
dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non
 come voglio io, ma come vuoi tu!”. Poi torna dai discepoli e vede che 
dormono. Dice a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora 
sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo 
spirito è pronto, ma la carte è debole”. Si allontana di nuovo e prega, 
dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io
 beva, sia fatta la tua volontà”. Torna dai discepoli, ma anche questa 
volta essi dormono. Si allontana e prega per la terza volta. Poi si 
avvicina ai discepoli. Tutto ormai sta per compiersi. Dice loro: 
“Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio 
dell’Uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo: ecco,
 colui che mi tradisce si avvicina”.
Gli apostoli, quindi, non partecipano alla tristezza mortale del 
Signore, all’ora terrena che sta per scoccare, al Suo martirio. Gli 
apostoli dormono. Se avessero vegliato forse avrebbero capito meglio, 
forse non sarebbero scappati. Nel Vangelo non risulta mai che Nostro 
Signore chieda agli apostoli la partecipazione al Suo stato interiore di
 gioia ineffabile di unione con il Padre; non chiede mai la 
partecipazione alla Sua vita intima, in nessun altro tipo di sentimento o
 situazione spirituale. Chiede la partecipazione solo la sera del 
Getsemani, alla Sua tristezza mortale. Sembra dunque che l’unione tra 
Dio e gli uomini avvenga massimamente, in questa terra, nell’ora del 
Getsemani, dove il Signore non chiede tanto: chiede solo di essere 
consolato, di vegliare, di pregare. Chiede ai Suoi amici fedeltà, che è 
il solo modo per stare con il Signore e non stare con il maligno.
Anche a noi può capitare di non essere fedeli o di intiepidirci, di non 
essere capaci di testimoniare la nostra fede e di non vedere, di non 
partecipare alla sofferenza di Gesù, da Santi, perché chiamati, 
giustificati, purificati e glorificati! Nostro Signore non ha sofferto 
solo una volta, soffre ogni giorno per i nostri peccati, come 
ripetutamente ci ricorda nelle Sue apparizioni la Beata Vergine Maria. 
Gesù soffre per questa Chiesa da Lui fondata che sembra allontanarsi 
sempre più dalla Sua Parola, per assecondare il mondo e i suoi desideri.
 Dobbiamo, però, considerare – questo è uno dei misteri al quale siamo 
tenuti a credere – che è Gesù stesso, insieme a Suo Padre e allo Spirito
 Santo, a permettere che la bestia immonda s’insinui anche nella Chiesa,
 che sarà giudicata, insieme al mondo e alla storia umana, nella 
“parrusia finale”, quando Nostro Signore si presenterà come Messia 
Giudice, “chiudendo così la ‘porta’ del tempo e spalancando quella 
dell’eternità”. Questa è la “profezia cristiana”, giustamente ricordata 
da Sergio Russo. La dissoluzione in atto – alla quale partecipa, 
purtroppo, in prima persona, colui che si è autodefinito “Vescovo di 
Roma” – ha una sua spiegazione soprannaturale. Come tutto, è permessa 
direttamente dalla volontà di Dio. Fa parte del suo disegno per ciascuno
 dei Suoi figli ed ha anche un aspetto positivo: la possibilità di 
distinguere – per chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire, oltre 
che coraggio, che è dono che fa parte della Grazia che Dio concede ai 
Suoi amici – il bene dal male. Si fa chiarezza, insomma, in vista del 
Giudizio Universale e di quello particolare che riguarderà ciascuno di 
noi e del ritorno di Cristo su questa Terra.
Comprendere e vivere questa verità di fede è essenziale rispetto alle 
rovine alle quali stiamo assistendo e che aumentano, giorno dopo giorno,
 con una capacità di penetrazione che appare inarrestabile. Queste 
rovine non devono però far impaurire i “buoni nella religione”, come li 
chiamava San Giovanni Bosco. Essi devono concorrere a compiere fino in 
fondo la volontà di Dio, che consente il male per un bene superiore, 
come dice il Vangelo di San Luca. Compiere la volontà di Dio significa 
prima di tutto offrire a Dio la loro personale sofferenza, causata dalla
 presenza fisica e spirituale del male di cui sono testimoni, forti 
dello strumento principale che Gesù ha lasciato loro: il Suo Corpo Vivo e
 Santo. E’ essenziale cibarsi della Santa Eucaristia e vivere in grazia 
di Dio, mettendo nel conto che ci potranno essere anche tempi ancora più
 difficili da vivere, nei quali quel Corpo Vivo e Santo si tenterà di 
sottrarlo, i Crocifissi nelle chiese saranno tolti e i “buoni nella 
religione” dovranno diventare di nuovo martiri, e nascondersi nelle 
catacombe, per potersene cibare. Se quei tempi si manifesteranno, 
bisognerà vivere nella certezza che anche allora ci sarà sempre la 
Chiesa, che è istituzione divina - non umana - e fino alla consumazione 
dei secoli ci saranno “prodigiosi avvenimenti”, che come dice San 
Giovanni Bosco sono “segni sensibili dell’Onnipotenza Divina e presagio 
di gravi avvenimenti che manifestano la misericordia e la bontà del 
Signore, oppure la Sua giustizia e il Suo sdegno, ma in modo che se ne 
tragga la Sua maggior gloria e il maggior vantaggio delle anime”.
La Chiesa, nonostante gli attacchi concentrici, terribili che subisce – e
 quelli attuali sono attacchi certamente inediti e ancor più spaventosi 
rispetto a quelli del passato - non è mai crollata e non crollerà, 
perché le sue basi sono state erette da Cristo stesso. Sarà Egli stesso e
 solo Lui a giudicare. Non allarmiamoci e non disperiamo. Guardiamo al 
soprannaturale e vediamo il miracolo che si compie giorno dopo giorno, 
che alimenta le nostre vite, che le avvicina alla benevolenza di Dio, 
che le custodisce e che le preserva dal male. Se ci sentiamo soli, 
consideriamo che la nostra solitudine non è mai totale, come disse Dio 
ad Elia, che si era lamentato di essere rimasto solo. Ci sono altri settemila che non hanno piegato il ginocchio a Baal,
 gli dice l’Altissimo. Dove fossero questi settemila, non si sa, ma 
c’erano. Così, con questa certezza, si può continuare la buona battaglia
 per testimoniare la gloria di Nostro Signore. Nonostante il male che ci
 circonda.

 
Commenti
Posta un commento